ATTI DEL CONVEGNO
OLTRE LA FILANTROPIA
(di Maria Grazia Alagna Varvaro)
La parola di origine greca letteralmente
indicherebbe amore per l’uomo - da filia (amore) e
antropos (uomo). In realtà però nell’accezione comune il
termine rimanda a quelle attività benefiche portate avanti in
tanti contesti e a diversi livelli che risultano oggettivamente
un bene per coloro che ne beneficiano ma non necessariamente
implicano un voler bene da parte di coloro che le mettono in
pratica ma possono invece essere dettate da molteplici fattori:
dal più nobile come può essere quello della giustizia sociale, a
quello politico con possibili implicazioni di eventuali
tornaconti elettorali, o da motivazioni sposate da grandi
organizzazioni internazionali che vogliono assicurare equilibri
politici ed economici per calmierare le grandi sacche di
povertà che potrebbero essere sfruttate da movimenti
terroristici, o più semplicemente per favorirne uno sviluppo
economico del quale potersi avvantaggiare, o ancora perché
attraverso certe organizzazioni si possono raccogliere
grossissimi flussi di danaro di cui poi avvantaggiarsi in una
certa misura; e in ultimo e non ultimo, per semplice orgoglio
personale o per l’attrazione che il potere nella sua gestione
sia pure a fine di bene ha su ognuno di noi.
Queste brevi
considerazioni già basterebbero a giustificare le giustificate
perplessità che suscita in sé ogni iniziativa benefica che ci
viene proposta in un mondo in cui poi, più che di ETICA DEL BENE
COMUNE ci vediamo circondati dall’ETICA DEL PROFITTO, DEL
TORNACONTO PERSONALE, DEL PROPRIO PIACERE, e se possibile subito
e ad ogni costo. Per non parlare poi che per fare DEL BENE
dovremmo prima metterci d’accordo su cosa è bene o male in una
società che ha fatto del RELATIVISMO ETICO il suo leit motif.
Infatti potremmo ritenere un Bene perfino l’ABORTO o Le CAMPAGNE
ANTICONCEZIONALI O ADDIRITTURA QUEGLI INCENTIVI ECONOMICI DATI
ALLE SOLE FAMIGLIE CHE NON PROCREANO PIU’ DI UN FIGLIO come un
bene per risolvere il problema della povertà, della fame nel
mondo, o della sovrappopolazione del pianeta. Ma anche se ci
mettessimo d’accordo e condividessimo obiettivi comuni per il
perseguimento di un bene condiviso a favore di qualcuno, e se
riuscissimo a trovare persone dalla moralità ineccepibile che le
possano portare avanti nel momento in cui si passa dal generale
al particolare, dalla programmazione all’azione concreta sul
territorio e sulle persone, e cominciamo a incontrarle per
offrire loro quel bene che ci eravamo prefissi, ci troveremo di
fronte due occhi come i nostri che ci guardano e ci chiedono di
più - molto di più. Ci chiedono condivisione di tutti i loro
bisogni materiali e spirituali. Ci mostrano il loro dolore che
non sempre il nostro semplice aiuto materiale può alleviare. Ci
mostrano quella stessa ansia di felicità che c’è nel nostro
cuore, la stessa paura per la malattia e per la morte, le stesse
ferite causate dalla mancanza di amore da parte dei nostri cari.
Ci chiedono di alimentare la speranza che è l’unica luce che si
può avere nel buio del dolore, della malattia, della fame o
della guerra o del lutto! Inoltre metterci in contatto con le
realtà di sottosviluppo, degrado morale, ingiustizia sociale,
può generare un sentimento di piccolezza e di esiguità che può
paralizzarci, avendo ben evidente che stiamo lavorando con poche
gocce su un mare! E tuttavia chi ha fatto una forte esperienza
personale di volontariato e di incontro personale col povero o
malato che ha di fronte, immediatamente fa esperienza di una
rigenerante edificazione del proprio spirito che passa prima da
un dirozzamento del proprio cuore che avviene attraverso la
condivisione della sofferenza dell’altro attraverso una nostra
personale sofferenza. Quando il nostro cuore comincerà a
piangere con lui e ci pentiremo dei nostri lussi di fronte alle
altrui indigenze o delle nostre inutili lamentele di fronte
alle altrui angosce e dolori allora - solo allora -
sperimenteremo LA CARITA’ che è la forma più alta di amore che
possiamo donare all’altro insieme a quella piccola porzione di
bene che stiamo facendo. Dice BENEDETTO XVI nell’introduzione
all’enciclica “Caritas in veritate” che la carità nella verità è
la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni
persona e dell’umanità intera. L’amore <caritas> e’ una forza
straordinaria che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e
generosità nel campo della giustizia e della pace: è una forza
che ha la sua origine in Dio, amore eterno e verità assoluta.
Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di
lui. IN TALE PROGETTO egli TROVA LA SUA VERITA’ ed è ADERENDO A
TALE VERITA’ che egli DIVENTA LIBERO……. Tutti gli uomini
avvertono l’impulso di amare in modo autentico, amore e verità
sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni
uomo. E nella precedente enciclica DEUS CARITAS EST il Papa
aveva affermato “DIO E’ CARITA’, DALLA CARITA’ DI DIO TUTTO
PROVIENE, PER ESSA TUTTO PRENDE FORMA, AD ESSA TUTTO TENDE. La
Carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini; è
sua promessa; è nostra speranza……La verità è la luce che dà
valore alla carità …. è la luce della ragione e della fede
attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e
soprannaturale della carità e ne coglie il significato di
donazione, accoglienza, comunione.
La carità - da
caris (grazia) - è amore ricevuto e donato. La sua scaturigine è
l’amore sorgivo del Padre per il Figlio nello Spirito Santo. E’
amore creatore per cui noi siamo, è amore redentore, per cui
siamo ricreati, è amore riversato nei nostri cuori per mezzo
dello spirito santo.
A questa
dinamica di CARITA’ RICEVUTA E DONATA risponde la DOTTRINA
SOCIALE DELLA CHIESA. Essa è “CARITAS IN VERITATE IN RE
SOCIALI”, ANNUNCIO DELLA VERITA’ DELL’AMORE DI CRISTO NELLA
SOCIETA’, è il principio intorno al quale ruota la dottrina
sociale della chiesa.
La carità
eccede la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è
suo. Non posso donare all’altro del mio senza avergli dato in
primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia… La giustizia
è la prima via della carità o come ebbe a dire Paolo VI “La
misura minima di essa”. Essa si adopera per la “città dell’uomo”
secondo diritto e giustizia. Dall’altra LA CARITA’ SUPERA LA
GIUSTIZIA E LA COMPLETA NELLA LOGICA DEL DONO E DEL PERDONO.
LA
CARITA’manifesta sempre anche NELLE RELAZIONI UMANE L’AMORE DI
DIO, dà valore teologale ad ogni impegno di giustizia nel
mondo. Accanto al bene personale c’è un bene legato al vivere
sociale delle persone: IL BENE COMUNE. ADOPERARSI PER ESSO E’
ESIGENZA DI GIUSTIZIA E DI CARITA’.
Nel 1967 Paolo
VI pubblicando la POPULORUM PROGRESSIO ha illuminato il grande
tema dello sviluppo dei popoli con la luce soave DELLA CARITA’
di CRISTO, ha affermato che L’ANNUNCIO DI CRISTO è il PRIMO E
PRINCIPALE FATTORE DI SVILUPPO e ci ha lasciato la consegna di
camminare sulla strada dello sviluppo con tutto il nostro cuore
e con tutta la nostra intelligenza - vale a dire CON L’ARDORE
DELLA CARITA’ E LA SAPIENZA DELLA VERITA’ .
E’ LA VERITA’
ORIGINARIA DELL’AMORE DI DIO, GRAZIA A NOI DONATA CHE APRE LA
NOSTRA VITA AL DONO E RENDE POSSIBILE SPERARE IN UNO SVILUPPO DI
TUTTO L’UOMO E DI TUTTI GLI UOMINI (Benedetto XVI “Caritas in
veritate”).
Il rischio del
nostro tempo continua il Papa è che all’interdipendenza di fatto
tra gli uomini data dalla globalizzazione.
NON CORRISPONDA
L’INTERAZIONE ETICA DELLE COSCIENZE.
Solo con la
carità illuminata dalla luce della ragione e della fede è
possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza
più umana ed umanizzante.
Nella Populorum
progressio Paolo VI ci comunica due grandi verità. La prima è
che quando la chiesa opera nella carità è tesa a promuovere lo
sviluppo integrale dell’uomo.
La seconda è
che l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la
totalità della persona in ogni sua dimensione e cioè che senza
la prospettiva della vita eterna il progresso umano in questo
mondo rimane privo di respiro.
L’uomo non si
sviluppa con le sue sole forze, né lo sviluppo gli può essere
dato semplicemente dall’esterno.
Lungo la storia
spesso si è ritenuto che la creazione di istituzioni fosse
sufficiente a garantire all’umanità il soddisfacimento del
diritto allo sviluppo. Si è riposto in esse una eccessiva
fiducia.
Le istituzioni
da sole non bastano, perché lo sviluppo umano è anzitutto
vocazione, e comporta una libera assunzione di responsabilità
da parte di tutti.
Tale sviluppo
richiede una visione trascendente della persona che ha bisogno
di Dio. Senza di lui lo sviluppo viene negato, cade nella
presunzione dell’auto-salvezza e finisce per promuovere uno
sviluppo disumanizzato.
D’altronde,
solo l’incontro con Dio permette di vedere nell’altro l’immagine
divina e maturare un amore che diventa cura per l’altro.
Le cause del
sottosviluppo non sono primariamente di carattere materiale, ma
si possono ritrovare nella volontà che disattende i doveri di
solidarietà e nel pensiero che non sa orientare convenientemente
il volere.
Occorrono
uomini di pensiero capaci di riflessione profonda votati alla
ricerca di un umanesimo nuovo che permetta all’uomo moderno di
ritrovare se stesso.
Inoltre il
sottosviluppo ha una causa più importante della mancanza di
pensiero ed è la mancanza di fraternità tra gli uomini e tra
popoli. La società sempre più globalizzata ci rende vicini ma
non fratelli, questa ha origine in una visione trascendente di
Dio, padre di tutti gli uomini.
La carità
invece intesa come amore di Dio effuso nei nostri cuori è
matrice fondante della fraternità, tuttavia solo nella verità la
carità risplende!
S. Paolo nella
prima lettera ai Romani ci esorta: ”… la carità non abbia
finzioni, gareggiate nello stimarvi a vicenda…”. Padre
Cantalamessa nel libro “La vita in Cristo”, nel capitolo di
commento a questa esortazione apostolica ci svela la profondità
e le esigenze della carità cristiana.
“La carità non
abbia finzioni (RM 12,9 )…. Amatevi gli uni gli altri con
affetto fraterno. Gareggiate nello stimarvi a vicenda.
Dice
Cantalamessa: “La carità è frutto dello Spirito in quanto virtù
acquisita mediante lo sforzo ripetuto della libertà che
collabora con la grazia”.
L’esortazione
LA CARITA’ NON ABBIA FINZIONI non è una delle tante, ma è la
matrice da cui derivano tutte le altre, contiene il SEGRETO
DELLA CARITA’. Il termine originale usato da S. Paolo
anipocritos cioè SENZA IPOCRISIA.
UN AMORE
SINCERO come il vino buono deve essere spremuto dall’uva, così
l’AMORE DAL CUORE.
In ciò
l’apostolo è l’eco fedele di Gesù che aveva indicato il CUORE
COME IL LUOGO IN CUI SI DECIDE IL VALORE DI CIO’ CHE L’UOMO FA.
Dietro
l’universo visibile ed esteriore della carità fatto di opere e
parole, c’è un universo interiore, che è nei confronti del primo
ciò che l’anima è per il corpo. E’ a questa carità interiore che
si ispira S. Paolo quando ci spiega come deve essere la carità
”E’ paziente, benigna, non è invidiosa, tutto copre tutto
spera”. Nulla che riguardi di per se direttamente il fare del
bene e le opere di carità ma tutto è ricondotto alla radice del
volere bene.
LA BENEVOLENZA
VIENE PRIMA DELLA BENEFICENZA e l’apostolo ci ricorda come il
più grande atto di carità esteriore come DISTRIBUIRE AI POVERI
TUTTE LE PROPRIE SOSTANZE non gioverebbe a nulla a chi lo
compie (anche se giova sempre ai poveri) se non avesse la
CARITA’.
LA CARITA’
IPOCRITA E’ QUELLA CHE FA DEL BENE SENZA VOLERE BENE; CHE MOSTRA
ALL’ESTERNO QUALCOSA CHE NON HA NEL CUORE; può nascondere
egoismo, ricerca di sé, o semplicemente rimorso.
E tuttavia
sarebbe un errore contrapporre tra loro carità del cuore e
carità dei fatti, o rifugiarsi nella carità interiore per avere
un alibi alla mancanza di carità effettiva, sappiamo con quanto
vigore GESU’ ci spinga alla carità fattiva (MT 25,31-46 Il
giudizio finale). Quando il figlio dell’uomo verrà nella sua
gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua
gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli
separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore
dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua
sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra:
“Venite, benedetti dal Padre mio. Ricevete in eredità il regno
preparato per voi fin dalla fondazione del mondo perché ho avuto
fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato
da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete
vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a
trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: ”Signore, quando
mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare,
assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto
forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E
quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a
visitarti?”. Rispondendo il Re dirà loro: “In verità vi dico:
ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a
quelli alla sua sinistra: “Via, lontano da me maledetti, nel
fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli. Perché
ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e
non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete
ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non
mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Quando mai,
signore, ti abbiamo visto affamato, assetato, o forestiero o
nudo, malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?”. Ma egli
risponderà: “In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto
queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non
l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio
eterno, e i giusti alla vita eterna”.
O pensiamo alla
parabola della dieci Vergini, 5 sagge e 5 stolte. Quando arriva
lo sposo non possono andargli incontro, perché le loro lampade
si sono spente, manca loro l’olio delle buone opere e
dell’amore. O ancora pensiamo alla bellissima lettera di S.
Giacomo 1, 14-17 che ci ammonisce: “Se un fratello o una sorella
si trovano senza vestito o mancanti di cibo e qualcuno di voi
dicesse loro: ,arrivederci andate in pace, scaldatevi e
saziatevi da voi che utilità ne avreste,così la fede senza le
opere è morta”.
S. Paolo vuole
che i cristiani siano radicati nella carità. DIO STESSO HA
STABILITO ”AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO” perché l’uomo
può barare con l’amore verso Dio ma non con quello verso se
stesso.
Dice
Cantalamessa: “Amare sinceramente significa amare a quella
profondità laddove non puoi mentire perché sei solo con te
stesso”.
Il prossimo
diventa prossimo perché me lo porto dentro nel cuore, anche
quando sono solo con Dio, il prossimo diventa intimo.
Questa è la
massima dignità che si possa accordare a un‘altra persona, ed è
attraverso la carità che Dio ha realizzato questa cosa sublime.
Essa prelude alla comunione dei santi, quando ognuno di noi sarà
per amore in tutti, e tutti in ognuno e la gioia di ognuno sarà
moltiplicata per la gioia di tutti.
Un amore
sincero è un riflesso dell’amore di Dio. Dio infatti ci porta
nel cuore, ci ha fatto del bene perché ci voleva bene.
Per essere
genuina la carità cristiana deve sempre partire dal cuore: le
opere di misericordia da viscere di misericordia (Col. 3,12)
Si tratta di
qualcosa di più che PSICOLOGICO, di più di una INTERIORIZZAZIONE
DELL’ALTRO.
Le profondità
dell’uomo sono diventate per l’inabitazione dello spirito santo
profondità di Dio:
Dio ci aveva
promesso che ci avrebbe dato un cuore nuovo (Ezech. 36).
Ora questo
cuore nuovo datoci col battesimo bisogna farlo entrare in
azione!
Quando amiamo
l’agire umano è deificato.
“L’amore di
Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito
Santo” (Romani 5,5).
Noi amiamo gli
altri con lo stesso amore col quale Dio ci ama.
Noi consoliamo
con la stessa consolazione con la quale siamo consolati.
Noi amiamo con
l’amore di Cristo, nostra speranza, via, verità e vita.
Concludiamo con
S. Paolo: “Non sono più io che amo ma è Cristo che ama in me!”.
L’agape che
discende dalla sorgente eterna della Trinità vuole abitare nel
nostro cuore nuovo.
Facciamoci un
augurio!
Mettiamo in
azione il cuore nuovo! Mettiamo a tacere il vecchio! Il mondo
nuovo non si realizzerà fuori dell’uomo se prima non si è
realizzato dentro di lui nel suo cuore!
Queste crisi
mondiali sono crisi di Santi! (S. José Maria Escrivà). |