Iniziando la sua trattazione,
Gavino Angius ha subito affermato che il presupposto per
imparare a scrivere è quello di prestare attenzione a come si
legge perché l’attenta osservazione della bottega dello
scrittore, sia del passato che del presente, potrà permettere al
lettore di divenire consapevole delle proprie personali
possibilità. L’autore ha quindi analizzato le motivazioni della
scrittura. Perché si scrive? Si scrive perché si parla e perché,
con l’uso della parola, abbiamo tutti acquisito sin da piccoli
la capacità di raccontare. Tutti siamo infatti dei narratori.
Alla base della scrittura si può trovare anche una motivazione
di tipo narcisistico, ma comunque chi scrive ha sempre un
briciolo di mania ed è divenuto preda di una forma benigna di
compulsione. Allora è meglio, ha affermato lo
scrittore, cercare di trarre il meglio da questa specie di forma
patologica, usandola e perfezionandola.
Cosa scrivere?
È questa la seconda riflessione proposta dall’oratore. Si
scrive per trasmettere qualcosa che si conosce o per indagare su
qualcosa che si vuole conoscere.
Lo scrittore
non inventa, ma fa l’esatto contrario: si documenta. Quella
della documentazione è l’unica percorribile via in quanto ci
permette di conoscere i meccanismi occorrenti per la creazione
di qualcosa. E’ chiaro che il ricercatore deve anche sapere dove
poter reperire il materiale necessario per la sua
documentazione in modo da potersene servire agevolmente.
Insomma, occorre sapere dove andare a cercare le
notizie necessarie per la creazione di qualcosa che abbiamo in
mente.
L’elaborazione
di un racconto breve, afferma Angius, è molto più difficile di
quella del romanzo perché prevede un lavoro di riduzione di
ogni esubero per tendere all’essenziale.
Scrivere, infatti, vuol dire togliere e non aggiungere. Possono
esserci dei racconti brevissimi, anche di poche parole, ma
significativi ed evocativi di qualcosa che sta nascosto dietro
le righe. Ogni storia vuole essere raccontata in un certo modo e
non in un altro.
A questo punto non rimane altro che andare a caccia del
soggetto creando nel proprio cervello una vera tempesta. Per
cercare l’ispirazione occorre guardarsi intorno, fare incetta di
suggerimenti e procedere ad una scelta. Così come il cercatore
di funghi opera una scelta tra i funghi buoni e i cattivi, anche
nel caso della scrittura occorre fare una scelta. E
questa scelta è sempre un atto critico ben diverso dalla
raccolta fatta in modo indiscriminato.
Si può partire da una situazione o da un personaggio, da un' immagine,
da una atmosfe-ra.
Nulla nasce
dal nulla e, guardandoci intorno, potremo trovare ciò che ci
interessa e vedere se la storia può avere sviluppi interessanti,
presentando almeno un minimo di avventura. Spesso abbiamo una
sceneggiatura sotto il naso e non la sappiamo riconoscere.
Altro modo di
scrivere, più difficile sicuramente, è quello di rifare il
lavoro che hanno fatto gli altri. Copiare, quindi, ma farlo con
discernimento. Se si copia quello che hanno fatto scrittori
importanti, lo si può fare all’infinito. E questa è l’arte
vera del copiare. Imparare a copiare può essere un’ottima
strategia per far emergere le proprie capacità narrative. E’
come quando si vuole andare a rubare in una casa. Bisogna avere
a disposizione una bella mappa della casa e avere i mezzi per
aprire la combinazione della cassaforte, così se si vuole
copiare un autore e rubare i suoi segreti, dobbiamo studiare
e leggere più volte le sue opere per scoprire quali sono le
nostre potenzialità creative. A volte un soggetto ci viene
offerto su un piatto d’argento e allora non dobbiamo far altro
che prendere appunti. C’è un termine specifico per questa prima
fase del lavoro ed è chiamato outline, cioè bisogna fare una
scaletta o una specie di sceneggiatura (come modus operandi io
lo raccomando sempre) raccogliendo quello che potenzialmente ci
serve per la nostra storia e poi eventualmente operare una
cernita.
Vi chiederete
allora: Come raccontare una semplice storia in maniera
letteraria? Si può giocare sugli appunti, fare tanti outline
partendo da uno spunto e immaginare una posizione diversa dei
fatti. Si può cominciare a raccontare dalla fine invertendo i
termini, tattica molto usuale, posso immaginare i pensieri, le
sensazioni del personaggio, posso anche dare risalto all’aspetto
intimistico o costruire una storia fantastica che abbia
un lieto fine. Altro aspetto da considerare è che l’opera di
revisione non finisce mai. Anche nel campo della musica succede
la stessa cosa. Mozart, ad esempio, aveva una memoria di ferro e
scriveva di getto. Beethoven invece faceva tante correzioni
alle sue opere tanto che non sappiamo quale sia la
stesura originale. Lo sviluppo è la parte più corposa del
racconto, quella in cui si svolgono gli eventi principali che
danno spessore alla storia, mentre il climax è il culmine della
tensione narrativa, il momento finale che prepara lo
scioglimento della storia.
Per osservare
il momento più saliente dell’opera di uno scrittore, possiamo
vedere la differenza tra gli appunti trovati nei taccuini di
Heminguay e il racconto finale avente come titolo “Il vecchio al
ponte”. L’autore sceglie la figura emblematica di un vecchio per
raccontare un episodio tragico della guerra di Spagna. Notevole
è la differenza tra gli appunti e la stesura finale del
racconto. Heminguay fa una cernita dei suoi appunti e nel
prodotto finito, con tocchi magistrali e con poche immagini,
riesce a dare un esempio di una grave drammatica situazione.
Nel suo racconto si serve molto del dialogo, che è un
momento privilegiato e una strategia tipica della narrativa.
(Maria Grazia Vitale) |